Famiglia e globalizzazione
di Elvira Lozupone
INTRODUZIONE: VIVERE IN UN MONDO GLOBALIZZATO
Collocare la famiglia nell’era della globalizzazione implica una descrizione di questa epoca almeno nelle sue caratteristiche fondamentali: questo è un compito già di per sé complesso e arduo visto che si tratta di unmomento storico e sociale in cui oggi ci troviamo immersi e rispetto al quale ogni interpretazione risulta parziale, come accade per ogni epoca storica che per essere compresa pienamente va presa in esame a distanza di tempo.
Parlare del padre, ancora oggi significa toccare il tasto doloroso dei rapporti all’interno della famiglia poiché in realtà non è solo il padre, ma è tutta la famigliaoggi ad essere messa in discussione, a sentirsi messa in discussione.
Ripensare inoltre ai fondamenti che guidano i nostri rapporti con i bambini, figli e non, alla luce dell’attuale disagio dei giovani e dei bambini stessi è impresa necessaria e complessa insieme.
Iniziamo dalla globalizzazione e dal richiamo evangelico del saper leggere i segni dei tempi:
non sono pochi coloro i quali tendonoa demonizzare questo nostro tempo e a leggerne solo i pericoli e, sottolineando il cambiamento rispetto all’assetto societario precedente, vedono la fine di un’epoca, ma non riescono ad intravedere nuovi orizzonti; molto è cambiato, ma non siamo capaci di gestire il cambiamento; e gli appigli sui quali si reggeva l’identità sociale e personale di molti sembrano venir meno, nulla è più come prima,la nostra società è corrotta e decadente, e basta.
Gli euforici si pongono sull’altro versante: il mondo è nelle nostre mani o, come dice una nota pubblicità : ad avere i mezzi, è possibile fare praticamente tutto.
E’ quanto sottolinea Bauman in un suo libro recente[2]: tra le più importanti e nefaste conseguenze che la globalizzazione ha sulla vita delle persone c’è il divario abissale checontinua ad acuirsi tra gli ultra ricchi e coloro i quali sono messi da parte dalla compressione dello spazio e del tempo. Questa assoluta novità che caratterizza il momento presente, mentre permette ai primi di spostare ingentissime quantità di denaro da un posto all’altro del globo con un solo click del mouse, rende le persone povere non solo più povere, ma senza lavoro, senza prospettive, finoad arrivare a far dire a qualche ‘tigre asiatica’ che se i poveri sono così poveri, in fin dei conti è colpa loro, e che potrebbero seguire il loro esempio ed iniziare una scalata al successo priva di scrupoli[3].
Lo stesso concetto di flessibilità lavorativa assume significati radicalmente diversi per coloro che possono girare il mondo a loro piacimento per affari o per diletto (i turisti) ecoloro che restano invece radicati nel locale, non per libera scelta , ma perché non hanno le stesse opportunità degli altri. Flessibilità significa infatti per gli uni: [4] per gli altri: [5].
Un senso di precarietà non soltanto lavorativa, ma esistenziale è in qualche modo uno dei sintomi più eclatanti della trasformazione della società. Viviamo in un’epoca di precarietà estrema, nonostantel’aumento delle opportunità di impiego, nonostante i progressi della scienza e della tecnologia, nonostante non ci siano più barriere geografiche e qualunque posto sia raggiungibile in poco tempo.
La caduta delle barriere geografiche ha avuto importanti e profonde ripercussioni sulla nostra dimensione esistenziale: non c’è più nulla da conoscere e da scoprire né sul nostro pianeta, né fuori;siamo confinati sulla Terra.
Non c’è più un altro, un diverso, un nemico che si trovi in una terra da conquistare, nel quale sia possibile concentrare e addossare il disagio per i nostri mali, perché l’altro, il diverso, è in mezzo a noi, cammina per strada con noi, viviamo gomito a gomito con lui. Come abbiamo imparato a partire dall’11 Settembre, il conflitto in una parte del globo interessa...
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