Gandhi Teoria E Pratica Della Non-Violenza
“Il mio dominio è l’azione”.[1] Con queste parole Gandhi definisce se stesso nel 1946: la ricerca della verità, che ha scelto come ragione della sua esistenza, si attua all’interno della storia; il pensiero non può rimanere tale, deve diventare vita. L’impegno politico e sociale, d’altra parte, deve partire da convincimenti profondi e da uncostante cammino di purificazione interiore. Teoria ed azione costituiscono in lui una singolare unità, tanto che l’una non si può comprendere se non alla luce dell’altra: è per questo che rivolgeremo la nostra attenzione sia alla sua vita che alla sua riflessione.
Mohandas Karamchand Gandhi nasce nell’India occidentale il 2 ottobre 1869, quarto ed ultimo figlio di una famiglia appartenente allacasta dei vaisya, terza nel sistema castale indiano. All’età di tredici anni gli è data in moglie la coetanea Kasturbai, dalla quale avrà cinque figli. Nel 1888 si reca in Inghilterra, dove rimane fino al 1891 per studiare legge. Tornato in India, esercita la carriera d’avvocato per qualche tempo, fino a quando nel 1893 accetta di recarsi in Sud Africa per conto di una ditta di musulmani.Inizialmente giunto con il proposito di restare solo il tempo necessario per portare a termine il lavoro affidatogli, vi rimane ben ventun anni. Infatti, dopo aver sperimentato in prima persona gli atteggiamenti e il sistema discriminatorio di cui gli indiani sono vittime, dà vita ad alcune iniziative di rivendicazione dei diritti della popolazione indiana, ed è pregato dai suoi connazionali di rimanerenel paese africano per continuare la sua opera.
A motivo di una serie di leggi repressive riguardanti il diritto al voto, il riconoscimento della cittadinanza, il godimento di elementari diritti economici e civili riservati alla parte bianca, egli organizza un movimento di protesta, divenendo presto il leader degli indiani residenti in Sud Africa. Nel 1906 gli indiani, da lui guidati,reagiscono a varie proposte di legge discriminatorie del governo con scioperi, superando i confini delle province sebbene sia loro interdetto, bruciando le carte d’identità che hanno l’obbligo di tenere sempre con sé. Gandhi è incarcerato, insieme a molti altri.
È proprio in occasione della lotta condotta durante quest’anno, che egli affianca al termine ahimsa o “non-violenza”, il neologismosatyagraha, cioè “forza della verità”. Egli mostra così che il suo metodo non è passivo, come potrebbe suggerire il prefisso “non”, ma prevede un impegno attivo, la ricerca di dialogo con l’avversario, l’esclusione di ogni odio o del ricorso a mezzi violenti.
La satyagraha è la non-violenza del forte, che si contraddistingue per il rifiuto morale della violenza: è una contestazione permanenteed è creatrice di conflitti, poiché non si adatta allo status quo. Essa non è la non-violenza del debole, ossia la semplice astensione dalla violenza per ragioni tattiche, né quella del codardo, che la rifiuta per vigliaccheria o per fini egoistici: a quest'ultimo atteggiamento Gandhi preferisce addirittura l’uso della violenza, che almeno dimostra la volontà di opporsi al male. Un pacifismointeso come astensione dalla lotta, nel tentativo di tenersi lontani dal male, certo non incontrerebbe la sua approvazione.
Ancora in Sud Africa, il 30 giugno 1914, Gandhi stringe un accordo con i rappresentanti del governo inglese mediante il quale gli indiani s’impegnano ad accettare l’interdetto al libero passaggio da una provincia all’altra, e le autorità sudafricane a riconoscere lavalidità dei matrimoni contratti secondo rito indù, musulmano o parsi, dapprima negata, nonché ad abrogare la tassa di tre sterline annuali per gli immigrati indiani che a scadenza di un contratto quinquennale vogliano restare nel paese.
È tipica della politica di Gandhi l’accettazione del compromesso, come risulta evidente anche in altre occasioni: nel marzo 1931, per esempio, in seguito alla...
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