Cent'anni di solitudine

Páginas: 537 (134219 palabras) Publicado: 14 de marzo de 2011
Gabriel Garcìa Màrquez

Cent’anni di solitudine
Feltrinelli Titolo originale dell’opera Cien años de soledad © 1967 Editorial Sudamericana, Buenos Aires Traduzione dallo spagnolo di Enrico Cicogna

A Jomì Garcìa Ascot E Marìa Luisa Elìo

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre loaveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica cos truito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era cos ì recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, verso il mesedi marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia deisavi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamentecercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades. "Le cose hanno vita propria," proclamava lo zingaro con aspro accento, "si tratta soltanto di risvegliargli l'anima." José Arcadio Buendìa, la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell'ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia, pensò che era possibile servirsi di quellainvenzione inutile per sviscerare l'oro della terra. Melquìades, che era un uomo onesto, lo prevenne: "Per quello non serve." Ma a quel tempo José Arcadio Buendìa non credeva nell'onestà degli zingari, e cos ì barattò il suo mulo e una partita di capri coi due lingotti calamitati. Ursula Iguaran, sua moglie, che faceva conto su quegli animali per rimpinguare il deteriorato patrimonio domestico, nonriuscì a dissuaderlo. "Molto presto ci avanzerà tanto oro da lastricarne la casa," ribatté suo marito. Per parecchi mesi si ostinò a dimostrare la veracità delle sue conge tture. Esplorò la regio ne a palmo a palmo, compreso il fondo del fiume, trascinando i due lingotti di ferro e recitando ad alta voce l'esorcismo di Melquíades. L'unica cosa che riuscì a dissotterrare fu una armatura delquindicesimo secolo con tutte le sue parti saldate da una crostaccia di ruggine, la cui cavità aveva la risonanza vacua di un'enorme zucca piena di sassi. Quando José Arcadio Buendìa e i quattro uomini della sua spedizione riuscirono a disarticolare l'armatura, vi trovarono dentro uno scheletro calcificato che portava appeso al collo un reliquiario di rame con un ricciolo di donna. A marzo tornarono glizingari. Questa volta traevano un cannocchiale e una lente grande come un tamburo, che esibirono come l'ultima scoperta degli ebrei di Amsterdam. Misero a sedere

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una zingara a un'estremità del villaggio e collocarono il cannocchiale sull'entrata della tenda. Per cinque reales, la gente poteva chinarsi sul cannocchiale e vedere la zingara a portata di mano. "La scienza ha eliminato ledistanze," proclamava Melquìades. "Tra poco, l'uomo potrà vedere quello che succede in qualsiasi luogo della terra, senza muoversi da casa sua." In un mezzogiorno ardente fecero una mirabile dimostrazione con la lente gigantesca: misero un mucchio di erba secca in mezzo alla strada e le appiccarono il fuoco mediante la concentrazione dei raggi solari. José Arcadia Buendìa, che ancora non era riuscito...
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