Sfollamento forzato e popoli indigeni in colombia
Colombia: voci da una comunità indigena in resistenza
“La resistenza non è con le armi, non è con la violenza. La resistenza noi la intendiamo con le idee e con il dia‐ logo. Questa è la nostra unica forma di resistenza, mai potremmo pensare in una proposta differente, mai potremmo armarci, perché un’arma quello che fa è di‐ struggere, è convertire un uomo in un essere più debo‐ 1 le di quello che già è”
Da ormai più di 60 anni la Colombia vive una guerra civile interna complessa, caratterizzata da violenza estrema, che vede lo scontro tra le guerriglie, l’esercito nazionale e gruppi paramili‐ tari. I popoli indigeni, insieme alle comunità a‐fro, sono i più colpiti dalle violazioni del conflitto in quanto abitano i territori considerati strategici da un punto di vista militare ma soprattutto e‐ conomico. Nel periodo della conquista, i popoli indigeni fu‐ rono cacciati dalle grandi pianure e respinti fino alle montagne più impervie per fare spazio alle grandi haciendas coloniali. Oggi, quelle zone in‐ terne ed inaccessibili che ieri erano considerate prive di valore si configurano, invece, come le aree più importanti sia per ragioni strategico‐ militari sia perché racchiudono immense ric‐ chezze naturali, minerarie e petrolifere. Il rapporto di Amnesty International del febbraio del 2010 denuncia, riprendendo le parole dell’attuale rappresentante ONU per i popoli in‐ digeni James Anaya, che la situazione che vivono i popoli indigeni in Colombia può considerarsi vi‐ cina al genocidio. Omicidi, violenze, minacce in‐ dividuali e collettive, scontri armati, sparizioni forzate, sequestri, sfollamenti e confinamenti sono le maggiori violazioni di cui sono vittima e che generano effetti irreversibili sulla sopravvi‐ venza di intere comunità. In questo scena‐ rio, l’esperienza di resistenza co‐ munitaria di Jam‐ baló costituisce un’autentica e‐ spressione di re‐ sistenza civile che per la sua forza, unità e creatività si può considera‐ re uno degli e‐ sempi più impor‐ tanti di costruzione di pace nel contesto del con‐ flitto colombiano. Si configura come un percorso di resistenza non violenta definito di “resistenza culturale”, che “si realizza con la difesa quoti‐ La zona alta di Jambaló si raggiunge da Cali con tre ore in jeep o sei ore in chiva, autobus in le‐ gno dipinto, mezzo di trasporto caratteristico delle zone rurali in Colombia. Percorrendo una strada sterrata che si inerpica sulle montagne del Nord del Dipartimento del Cauca, nel sud oc‐ cidente del paese, si arriva a una comunità di circa 15.000 persone, per la maggior parte indi‐ geni di etnia Nasa che vivono di agricoltura e al‐ levamento in una fortissima relazione di empa‐ tia con la natura. Il paesaggio meraviglioso si ri‐ vela ad ogni curva, il Cxab Wala Kiwe (Territorio del Grande Popolo), la Madre Terra, ti avvolge nella sua incontaminata bellezza e qualcosa di diverso e puro nell’aria ti riempie le narici.
La comunità di Jambaló è da alcuni anni uno dei simboli più significativi della resistenza dei popo‐ li indigeni al conflitto armato che dilania la Co‐ lombia. Una resistenza civile, pacifica e irremo‐ vibile che difende quotidianamente il territorio, la cultura, l’autonomia e il diritto stesso ad esi‐ stere come popolo indigeno.
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Le testimonianze virgolettateriportate in questo articolo sono tratte dal lavoro di tesi di Gaia Pagano “Sfollamento forzato in Colombia: impatto sui popoli indigeni”, svolto nel corso di un anno di ricerca sul campo nella comunità Nasa di Jambaló.
Gaia Pagano – Jambaló: comunità indigena in resistenza
diana della cultura propria e con l’affermazione ...
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