Historiae Vinariae Ad Urbe Condita

Páginas: 5 (1076 palabras) Publicado: 15 de julio de 2012
Historiae vinariae ad Urbe condita

Come la metti la metti, Roma è sempre una bella gatta da pelare. Anche solo venirci in macchina può far uscire di senno il più serafico degli automobilisti. Che sia parlarne, viverci o peggio, amministrarla, difficilmente se ne esce fuori con le ossa intere. Ma di che Roma parliamo? C’è la Roma moderna del traffico caotico. C’è la Roma storica earchitettonica, la Roma papalina del Belli, quella di Santa Romana Chiesa e, in tempi recenti, addirittura quella ladrona.
Roma è un po’ come un’anziana signora, con le palpebre calate a nascondere degli occhi vispi che tradiscono furberia e saggezza e che a sentirsi chiamare ladrona non muoverebbe un muscolo, anzi, con scanzonata freschezza ammetterebbe: ”Eh si, anche questo sò stata!” magari millantando unastoria non sua.
Poi c’è la Roma da mangiare, niente a che vedere con la Milano da bere. Quella no, non è mai stata in primo piano, pur vantando una storia culinaria da leccarsi i baffi. Ed infine c’è quella enologica, anch’essa in ombra, visto che la città è andata famosa soprattutto per il suo bianco d’osteria, rozzamente allungato - se non addirittura edulcorato - da osti, quelli si ladroni. Mache volete, è il destino di una città per pellegrini, dove il pollo da spennare ha rappresentato per secoli una succulenta risorsa. Sarebbe quindi l’Anno Santo, coi suoi quasi otto secoli di storia ed i milioni di viaggiatori in cerca di redenzione, ad aver condotto a quel frettoloso giudizio sulla qualità del vino in giro per osterie nella città eterna. Forse.
Andate alla Mecca per testare laqualità delle orzate ivi vendute: ma l’esercizio mi pare quanto mai difficile da realizzare. Perciò conviene fare come San Tommaso, diffidando di giudizi altrui tanto più se netti e definitivi.
Poiché si giungerebbe a diverse conclusioni degustando una malvasia in compagnia dell’esperto vignaiolo, seduti sulla terrazza della sua casa di Frascati, casa notissima nel piccolo centro dei castelli romanicome “l’osservatorio”, perché a tale funzione militare fu destinato delle truppe d’occupazione tedesche tant’è spettacolare la sua posizione.
E’ la zona dei castelli, infatti, che ci regala le maggiori suggestioni in fatto di vino: è la tradizionale gita fuori porta dei romani, molto prima che le stampe di Pinelli sulla Roma di Rugantino la rendessero così nota. Da quando l’africano Settimio Severoci sistemò le sue fedeli legioni parthiche e vi permise ai legionari di farvi le vigne e prender moglie, la zona era diventata nel giro di poco tempo una sciccheria da pretoriani.
E allora andiamo indietro nel tempo, risalendo a quel villaggio vicino all’isola sul fiume color dell’albume che tutti, seguendo toponomastica istintiva e un po’ greve, chiamavano Ruma, la mammella, dalla somiglianza diun vicino colle con la protuberanza lattifera, non si sa se della pecora o della donna.
Già quindi siamo alla presenza di una bevanda, infantile si, ma sempre bevanda.
Fin dall’inizio la storia di questo villaggio, divenuto poi borgo e poi cittadina, è storia di beoni e trincatori. Moltissimi, dagli eroi troiani che ne furono poi accreditati quali fondatori, fino alla maggior parte dei romani neisecoli a venire, danno esplicite prove della loro facilità a darci di gomito. Nel senso di alzarlo.
Ve lo immaginate voi, Romolo, sul fare della sera convincere la sua Ersilia che deve fare un salto in Reggia per fare un’importante riunione e torna coll’alito pesante di vino? Io non ho nessuna difficoltà a figurarmelo.
Le leggende antiche odorano d’osteria. Chissà se certi miti sono nati propriola, al termopolio o alla caupona, dove una congrega di tunicati alticci gareggia a chi la spara più grossa. E qualcuno un giorno raccontò di quando il vecchio Falerno diede ospitalità a Bacco sotto mentite spoglie e questo, per ringraziamento gli fece crescere una vigna miracolosa che dava un vino meraviglioso.
Non è leggenda che sapientemente gli agricoltori romani impararono dai loro maestri...
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